IL PRETORE
   Esaminate le difese delle parti e i documenti prodotti, ritiene che
 la  eccezione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 9 comma 21
 decreto legislativo n. 5101996 convertito in legge  n.  608/1996  sia
 rilevante e non manifestamente infondata.
   La  norma,  dopo  avere  stabilito  un  diritto di precedenza nelle
 assunzioni a  tempo  indeterminato  fino  al  31  dicembre  1996  dei
 lavoratori   che   abbiano  lavorato  alle  dipendenze  dell'EPI  con
 contratti di lavoro a tempo determinato a decorrere  dal  1  dicembre
 1994, dispone che "Le assunzioni di personale con contratto di lavoro
 a tempo determinato effettuate dall'ente "Poste italiane" a decorrere
 dalla  data  della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno
 1997,  non  possono  dar  luogo  a  rapporti  di   lavoro   a   tempo
 indeterminato  e  decadono allo scadere del termine finale di ciascun
 contratto".
   Quest'ultima disposizione viene quindi a disciplinare i rapporti di
 lavoro a tempo determinato stipulati dall'EPI in modo difforme  dalla
 disciplina  generale  di  questo  contratto  di  lavoro,  creando una
 irragionevole disparita' di trattamento  tra  tutti  i  lavoratori  a
 termine,  tra  i  lavoratori a termine assunti da imprese operanti in
 regime di concorrenza o nello stesso settore dell'EPI, tra gli stessi
 dipendenti dell'EPI.
   Va infatti osservato che  la  disciplina  dei  rapporti  di  lavoro
 stipulati  dall'EPI  trova  la  sua  fonte nell'art. 6, secondo comma
 legge n. 71/1994, che, in vista della soggezione di  questi  rapporti
 al   regime   privatistico,   secondo   una  tendenza  gia'  presente
 nell'ordinamento con il decreto legislativo 291993, ha  stabilito  la
 applicabilita'  della  normativa  pubblicistica  previgente fino alla
 stipulazione del nuovo contratto collettivo di lavoro.
   In  sostanza,  il   quadro   normativo   in   questa   materia   e'
 caratterizzato  dalla  soggezione dei rapporti di lavoro con l'EPI al
 regime privatistico, attuato pienamente con il  contratto  collettivo
 nazionale  di  lavoro  del  novembre  1994,  con  la previsione della
 efficacia meramente transitoria della disciplina  pubblicistica  fino
 alla stipulazione del contratto collettivo menzionato.
   Emerge  quindi  dal  disegno legislativo che con la stiplazione del
 contratto collettivo nazionale del lavoro del novembre 1994, le fonti
 di regolamentazione dei rapporti di lavoro con l'ente sono costituite
 dalle  norme  di  legge  di  diritto  privato  e  da   quelle   della
 contrattazione collettiva.
   La  transizione  alla  nuova  disciplina  dei rapporti di lavoro e'
 stata quindi completata con la stipulazione del contratto  collettivo
 nazionale  di  lavoro  del  26  novembre  1994,  che ha espressamente
 regolato il ricorso al  contratto  di  lavoro  a  tempo  determinato,
 richiamando la legge n. 230/1962.
   Il  decreto-legge  n.  510/1996,  preceduto  dal  decreto-legge  n.
 404/1996, si e' venuto quindi a inserire in un quadro normativo  gia'
 completo  e  definito,  essendo  stato superato il regime transitorio
 dell'art.    6  secondo  comma  legge  n.  71/1994   con   la   piena
 applicabilita' delle norme legislative e contrattuali privatistiche.
   La  norma  impugnata  ha  quindi regolato, con effetti retroattivi,
 situazioni soggettive e  diritti  gia'  acquisiti  che  trovavano  la
 propria   fonte   proprio   nella   disciplina  privatistica.  Questo
 intervento  e'  privo  di  giustificazioni  sotto  il  profilo  della
 ragionevolezza  e la sua retroattivita' incide su diritti acquisiti e
 fondati sulla disciplina previgente.
   La prima  censura  che  viene  mossa  alla  norma  va  riferita  al
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
   La  norma  crea  una  evidente  disparita'  di  trattamento  tra  i
 lavoratori a termine dell'EPI e tutti gli altri lavoratori a termine;
 mentre a questi ultimi si applica la normativa piu' rigorosa prevista
 dalla legge n. 230/1962 e dalle altre leggi che si sono succedute  in
 materia,  ai  primi  torna  ad applicarsi la disciplina pubblicistica
 prevista dalla legge n. 1376/1965 e dal decreto del Presidente  della
 Repubblica n. 276/1991, che ha natura deteriore per il lavoratore con
 riferimento  ai  presupposti  per la stipulazione del contratto, alle
 sue formalita', alla possibilita' di conversione in contratto a tempo
 indeterminato.
   Questa disparita' di trattamento non trova  alcuna  giustificazione
 in criteri di ragionevolezza.
   Essa  infatti  si  riferisce  ad  un  ente per il quale la legge n.
 71/1994 ha gia' stabilito che i  rapporti  di  lavoro  del  personale
 siano  regolati  da  norme  di diritto privato e dalla contrattazione
 collettiva, e che gia' opera in rilevanti settori della sua attivita'
 in regime di concorrenza con  imprese  private  i  cui  dipendenti  a
 termine  possono  invocare  la  disciplina piu' rigorosa e garantista
 delle norme di diritto privato.
   La tesi  dell'EPI,  per  cui  la  norma  impugnata  avrebbe  natura
 interpretativa,   regolando  aspetti  non  previsti  dalla  legge  n.
 71/1994, non puo' essere condivisa.
   L'ente sostiene infatti che l'art. 6 secondo comma legge n. 71/1994
 si rivolgerebbe ai dipendenti gia' in servizio e  che  la  legge  non
 regolamenta i contratti di lavoro a termine.
   Questa  lettura  porterebbe  infatti a una duplice regolamentazione
 dei rapporti di lavoro, di diritto privato e di diritto pubblico, per
 i dipendenti dallo stesso datore di lavoro, a seconda della  data  di
 assunzione  e  della  natura  del  contratto di lavoro stipulato, con
 profili  di  costituzionalita'  per   la   evidente   disparita'   di
 trattamento tra dipendenti dello stesso ente.
   In  realta'  la  disciplina  legislativa  e' chiara nel senso della
 completa attrazione dei rapporti di lavoro con l'EPI nella disciplina
 privatistica, attrazione piena  con  la  stipulazione  del  contratto
 collettivo  nazionale di lavoro. Le stesse parti sociali e la azienda
 hanno condiviso questa impostazione proprio con la  stipulazione  del
 contratto  collettivo  nazionale  di lavoro del novembre 1994, che ha
 dato una disciplina completa a tutti i rapporti di lavoro con l'ente,
 elimando  cosi'  alla  fonte  qualsiasi  situazione   di   incertezza
 giuridica che avrebbe legittimato un intervento interpretativo.
   La   norma   impugnata  risulta  contrastare  con  l'art.  3  della
 Costituzione  anche  relativamente  al  differente  e  ingiustificato
 trattamento   riservato  a  coloro  che  hanno  stipulato  con  l'EPI
 contratti di lavoro a tempo determinato prima o dopo il  termine  del
 30  giugno  1997. La irragionevolezza della disparita' di trattamento
 emerge  evidente  ove  si  consideri  che  restano   le   stesse   le
 caratteristiche  del  datore  di  lavoro  e  quelle  specifiche della
 attivita' lavorativa oggetto dei predetti rapporti di lavoro.
    Va  anche  sottolineato  che  la  previsione  dell'art. 9 comma 21
 decreto-legge n.  510/1996  convertito  in  legge  n.  608/1996,  nel
 conferire   puramente   e   semplicemente   validita'  alle  clausole
 appositive del termine nei contratti di lavoro,  senza  tenere  conto
 delle ipotesi di nullita' in base alla normativa previgente, consente
 di  ritenere  la  validita'  della  clausola  anche in presenza di un
 motivo illecito, per ragioni di sesso, razza o  appartenenza  ad  una
 associazione  sindacale,  pur  se  esplicitate nel contratto, creando
 cosi' una disciplina che sarebbe applicabile al solo EPI.
   Risulta inoltre la irragionevolezza della norma nella  sua  portata
 retroattiva.
   Si e' gia' sottolineato che la norma impugnata viene ad incidere in
 un  sistema  gia'  delineato nelle sue fonti con il rinvio alle norme
 legislative  del   settore   privatistico   e   alla   contrattazione
 collettiva,  con  la conseguente piena applicabilita' di queste fonti
 ai  contratti  stipulati  prima   della   entrata   in   vigore   del
 decreto-legge n. 510/1996.
   Sul  punto  va  precisato che il divieto di retroattivita' trova un
 suo fondamento costituzionale espresso solo nell'ambito  del  diritto
 penale, ai sensi dell'art. 25 della Costituzione.
   Va  tuttavia  rilevato  che  la  stessa  giurisprudenza della Corte
 Costituzionale ha sottolineato che il principio  di  irretroattivita'
 costituisce  un principio essenziale del sistema a cui il legislatore
 deve  attenersi  fatta  salva  la  esistenza   di   effettive   cause
 giustificatrici   -  cfr.     Corte  costituzionale  sent.  155/1990;
 349/1985; 39/1993.
   Pertanto, di fronte a diritti gia'  acquisiti  dai  lavoratori  che
 hanno  stipulato  contratti  a  termine  nella  piena efficacia della
 normativa privatistica, risulta del tutto privo di giustificazione  e
 di  ragionevolezza la sostanziale abrogazione retroattiva dei diritti
 acquisiti da questi lavoratori.
   In conclusione, la norma impugnata crea un regime speciale in  tema
 di  rapporti  di  lavoro  a  termine  a  favore  di  un solo soggetto
 economico, azzerando situazioni  e  posizioni  giuridiche  precedenti
 sorte  sulla  base  della  disciplina  previgente.  La  norma  altera
 irragionevolmente il  regime  giuridico  applicabile  per  quel  solo
 soggetto  economico  rispetto  alla disciplina applicabile all'intero
 settore privato.
   Resta da  esaminare  l'ulteriore  profilo  di  incostituzionalita',
 relativo al contrasto con l'art. 39 Cost.
   La  norma  impugnata  ha infatti cancellato la disciplina stabilita
 dalla contrattazione collettiva emanata  sulla  base  della  espressa
 delega  prevista  dalla  legge  n.  71/1994,  invadendo  cosi'  spazi
 riservati alla autonomia collettiva in assenza di ragioni eccezionali
 o di  problemi  di  compatibilita'  con  gli  obiettivi  di  politica
 economica  individuati  ai  sensi  dell'art.  41  terzo  comma  della
 Costituzione - cfr. Corte cost. sent.124/1991.
 Deve infine ritenersi  che  il  giudizio  non  puo'  essere  definito
 indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
 costituzionale,  discendendo  dalla  decisione  della  questione   la
 individuazione  della  disciplina applicabile e il riconoscimento del
 diritto azionato in giudizio.